Roma. 17 giugno 2017. Lasciamoci alle spalle i giorni precedenti, le notti bianche e le letture alternative perché finalmente è arrivato il grande momento: la Mezza Maratona di Roma, 21km tra i capolavori degli antichi romani e le “pecionate” dei nuovi per una prima che sa di caldo, sudore, dolore e tanta umidità.
L’avventura inizia con il trasferimento della sacca sul posto di lavoro, cambio in uscita e traversata di Trastevere sul tram 3 fino a Piazza Venezia.
Direzione Piazza del Popolo con occhiali da panterona, divisa della PR, calzino giallo fluo e scarpette rosa. Sembro la tavolozza di Giotto ma quando si corre meglio essere visibili. Corro alla volta di Cristina, la donna di Cetorelli, che tiene il mio pettorale mentre lui saltella da una parte all’altra della Piazza. Pettorale preso e attaccato nel peggiore dei modi. Strano no? Ok, calma, inizio la fila interminabile al deposito sacche che da l’idea che sarà lunga e ci sarà da sudare. L’adrenalina è alta e supera di gran lunga la stanchezza, anche se prima o poi quella arriva e sono sicura che mi stenderà. Partiamo alle 21.00. Io e Marco siamo vicinissimi ai Bolt “de noantri”, quelli con il pettorale, 0, -1, al massimo 2. Io sto a mille. Lui è come Siddhartha. Gli altri stanno dietro. Cetorelli, il più veloce, lo hanno messo con le macchine pulitrici dell’Ama. Chiude la gara ma appena si parte sta avanti di 20 minuti da Marco che dimostra ancora una volta il suo talento. Si parte. Sbaglio la partenza. Vado a mille! Cavolo Mario Ferracci me lo dice sempre che così schiatto! Si avanza. La griglia color nera, quella che racchiude milioni di persone, ha sommerso tutti. Allungo il passo non curante del monito di Mario “occhio che schiatti”. Arrivano i sanpietrini. Si apre un mondo: è l’inferno, l’Apocalisse, la disfatta delle disfatte, la tragedia. Le gambe si muovono come quelle di Celentano sul palco. Cerco di parlare con la gamba sinistra, ma la destra ha già dimenticato la direttiva. Per non parlare del cuore che con il Garmin fanno a gara ai Beep più intensi e la testa che pensa solo ad evitare le buche, i dislivelli, i sanpietrini fuori asse, i sanpietrini con l’acqua, gli scalini, i dislivelli laterali, le griglie di ghisa e chi più ne ha più ne metta. E’ anarchia totale.
Il sanpietrino, quella cosa nera, quadrata che da anni semina panico per le vie di Roma e quando si bagna è un arma potente contro l’umanità ha la capacità di rovinare tutto e ha la meglio sin dal primo minuto. Ho due possibilità: o riesco a correre senza poggiare i piedi, quindi volare, oppure….oppure mi becco i crampi. Opto per i crampi. Per volare peso troppo! Maledetta massa!
Siamo solo al 7-8 chilometro e io sto ko. Panico: manca metà gara. Che faccio? A mollare non ci penso. Stringo i denti ma non tengo il ritmo. Rallento. Arriva lo schiatto! Ferracci docet. Poi arriva il buio. Cavolo non si vede nulla. Sono morta e non lo so. No è solo la zona di Roma non illuminata. Beh almeno una candela con la citronella potevano metterla. Avanzano i chilometri. Provo a comunicare con le gambe, gli dico di non mollare. Il fiato c’è ma loro diventano ogni metro più pesanti. Gli urlo di procedere perché sono io che comando. Ma sono femmine e le femmine si sa come fanno. Quando si piantano…si piantano. Maledette! Così non vale. Ci tenevo a questa gara! Mi portano al traguardo ma con un grande nodo in gola. Arrivo al finish. I magnifici della 10km sono sul traguardo e urlano il mio nome. Chiudo con un tempo che non mi aspettavo. Però il bello dello sport è anche questo: imparare a calibrare le aspettative e gestire gli imprevisti. Abbraccio Linda, piango. Simona mi cazzia. Urla cose che non ricordo, cerca di spronarmi. Mi vuole bene ma sa che deve farmi reagire. E’ stata una settimana dura, il pianto di rabbia, dolore e delusione è liberatorio. Poi tutto passa e torna il sole. Anzi la luna! Simona si accende la sua sigaretta, mi fa l’occhiolino e capisco che in fondo il bello è nel contorno che c’è dietro le gare. Massimo mi abbraccia. Tonino mi loda, Sandro sembra abbia vinto con me. Sono le 23,30 si torna a casa. E’ andata così. Quella medaglia sul medagliere avrà solo un ricordo….mi ricorderà che ho avuto grinta e determinazione. Ho avuto le palle di chiudere. Non è molto ma è qualcosa!
Neve Give Up
Simo